Di accademie, librai ed esaurimenti nervosi.

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  1. Serenaide
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    Era il quarto anno che Elliot Nightray frequentava l'Accademia Lutwidge, prestigiosa scuola militare che ammetteva ed offriva solo il meglio del meglio senza distinzioni di sesso, età o provenienza, dando ai giovani che avrebbero passato l'esame il miglior insegnamento militare dell'Inghilterra intera.
    Entrare era, se non impossibile, difficilissimo, ma Elliot aveva un padre generare e due fratelli che ne seguivano le orme, la vita militare non era niente di speciale per lui.
    E, nonostante credesse che sarebbe mai successo, non desiderava altro che lasciar perdere tutto.
    Non per gli esercizi fisici che gli occupavano una buona metà della giornata o magari per gli insegnanti rigidi allo stremo - cose che, nella sua famiglia, erano cose normali sin da piccoli - né gli importava qualcosa del passare praticamente tutto il giorno tra adolescenti, più o meno seri, che poteva o no sopportare.
    Erano tutte cose che, alla fine, non potevano importare più di tanto. Quello che lo faceva dare di matto era uno strano senso di confusione e oppressione che lo assaliva anche quando si trovava in giro con gli altri ragazzi per la libera uscita. Anzi, forse quelle erano le occasioni in cui si ripresentava più spesso, quando, mentre tutti gli altri passeggiavano ridendo in tutta tranquillità per la città, lui era occupato con le decine di pensieri che affollavano il suo cervello. Semplicemente, era esausto. Ovviamente, non ne avrebbe mai parlato con i suoi fratelli, né con quegli sballati dei suoi compagni - no, non poteva decisamente definirli amici - per cui aveva deciso di tenersi tutto dentro fino al momento dell'esplosione.
    Momento che si presentò proprio in quel dannatamente piovoso giorno di novembre, mentre tutti gli altri già correvano verso le macchine, chiamandolo ogni tanto.
    Elliot si strinse meglio nella giacca, urlando qualcosa che doveva significare un "torno dentro", ma che nessuno si curò di sentire. Tanto meglio per lui. Peccato solo che non avesse la minima idea di dove andare, come constatò sbuffando. Si guardò intorno alla ricerca di un riparo, anche provvisorio, dalla pioggia, ma apparentemente nessun negozio illuminava più la grande piazza di fronte l'entrata della scuola.
    Per un attimo considerò davvero l'idea di tornare dentro, nonostante non avesse la minima voglia di vedere ancora quelle facce beote che avevano iniziato, nella sua testa, a caratterizzare gli altri cadetti. Fortunatamente, quando ormai la vista gli si era quasi totalmente offuscata per le gocce di pioggia, scorse in lontananza la luce tenue che usciva dalla saracinesca ancora mezza aperta di un negozio. Senza nemmeno rifletterci, corse fino a raggiungerlo e si infilò dentro, preparandosi già alla ramanzina allucinante che gli avrebbe riservato chiunque fosse di turno in quel momento.
    «Scusi il disturbo, ma posso aspettare qui dentro almeno finché fuori non spiova almeno un po'? Sono fradicio, e l'idea di una broncopolmonite non mi alletta molto.» disse prendendo fiato e cercando di limitare il grondare incessante del suo cappotto al piccolo laghetto che ormai lo circondava.
     
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    Leo era rimasto solo in negozio quel giorno. Come sempre, del resto... Il titolare era inutile come un ameba e resosi conto di questo piccolo particolare doveva aver deciso di graziare Leo con la sua gradita assenza. Era decisamente un bene, dato che Leo aveva seri problemi a lavorare in presenza di altri esseri umani... Se poi questi avevano l'utilità di un buco del culo su un gomito, la sua assenza aveva risparmiato una strage. La giornata lavorativa tutto sommato era andata abbastanza bene: pochi clienti e tanto tempo libero per leggere. Fuori diluviava, ma sinceramente lui importava ben poco, dato che era totalmente immerso nella lettura che per lui era reale solo il sole splendente descritto nel romanzo che stava leggendo. Quando interruppe momentaneamente la lettura per guardare il ora, si rese conto che avrebbe dovuto chiudere il negozio già da un'ora. Sbuffò infastidito e chiuse per metà la saracinesca, per poi stiracchiarsi tranquillamente, tanto non aveva fretta, nessuno si correva dietro. Amava fare le cose con calma, così come amava che non lo si interrompesse mentre le faceva... Probabilmente fu per questo che, quando senti una persona intrufolarsi nel negozio passando sotto la saracinesca mentre lui spegneva i computer, la sua mano corse subito a il martello che tenevano sotto il bancone. Ufficialmente tenevano quel martello in caso dovessero riparare qualcosa, ufficiosamente il titolare era ossessionato dall'idea di essere rapinato è quel martello serviva ad essere dato in testa a possibili rapinatori. Leo era già pronto a lanciare l'attrezzo alla testa bionda che era spuntata dal nulla, quando questo inizio a sproloquiare una raffica di parole inutili sul perchè fosse entrato, come se a Leo potesse impostare qualcosa. Stanza gocciolando sul suo pavimento e ciò voleva dire che avrebbe dovuto perdere tempo ad asciugarlo, cosa che gli fece prendere in seria considerazione l'ipotesi di prendere davvero a martellate in testa quel fastidioso individuo. Si ferma solo perchè lo riconobbe - solo grazie al rigido portamento- come un allievo dell' Accademia militare che stava di fronte alla libreria... Forse l'omicidio di un futuro militare avrebbe potuto metterlo nei guai. Sbuffò e aggrottò le sopracciglia. «Ma certo, rimani pure. Vuoi anche il tè coi pasticcini?» chiese, fortemente sarcastico, per poi farsi mortalmente serio. «sei uno degli allegri soldatini dell'Accademia militare, no? Se non vuoi prenderti una broncopolmonite hai solo da tornare nella tua dannatissima scuola, al posto di scartavetrare i coglioni proprio a me. Devo chiudere il negozio, se non ti dispiace».
     
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  3. Serenaide
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    Ha preso un martello. Ha preso fottutissimo martello. La sua mente fu occupata da una decina di secondi solo ed unicamente da quel pensiero dal momento in cui vide il ragazzo moro addetto. Si chiese quale razza di idiota potesse assumere un pazzoide come quello ed affidargli addirittura un negozio, quando l'altro posò l'arma di fortuna e gli rispose in modo talmente acido da farlo trasalire. Okay, forse quel tipo non era un totale pazzoide, ma una buona dose di irritabilità non glie la toglieva nessuno.
    Ovviamente non sarebbe stato lì a spiegargli il motivo per cui non aveva la benché minima voglia di tornare in accademia, quel tipo gli dava sui nervi e non voleva sentire un commento idiota sue quelli che ormai stavano diventando problemi quasi soffocanti, per cui ingoiò il rospo e cercò una scusa accettabile.
    «Se riconosci così bene noi "allegri soldatini" sapresti che oggi tutti tornano a casa, quindi non credo proprio di voler tornare in accademia. Ti sto chiedendo solo di farmi riparare un po' finché non spiove, poi me ne vado a casa.» il che sarebbe stato anche vero, se non fosse che per arrivare a casa ci sarebbero volute anche quattro fermate di pullman, due di metropolitana e tre di treno, per cui rincasare era tutto tranne fattibile con quel tempo.
     
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    Anche da sotto l’inespressività che il lavaggio del cervello (anche detto “addestramento militare”) aveva provocato al ragazzo, Leo riuscì a scorgerne il turbamento nel vederlo armato di martello.
    “Be’? Tu per difenderti ai il tuo bel fucile, ognuno si arrangia con ciò che ha~” pensò, ironico, per poi ascoltare ancora la voce di quell’irritante biondino.
    Si permetteva pure di fare il polemico? Tsk, dannati figli di papà convinti che tutto fosse loro dovuto.
    Forse era meglio ricordare al soldatino che era venuto a supplicare riparo dalla pioggia, quindi o metteva la coda tra le gambe, o l’avrebbe rispedito a calci nel culo sotto la pioggia a prendersi una broncopolmonite, possibilmente fulminante.
    «Scusami tanto se non me ne può sbattere di meno di sapere in quali giorni pure gli istruttori sono talmente stufi di voi teste vuote da rispedirvi a casa. In ogni caso, non ti ho riconosciuto come uno studente dell’accademia solo per l’eterna aria ebete che avete tutti stampata in faccia~» disse, per poi riprendere in mano il martello.
    « Ed adesso chiariamo un punto: non è un problema mio se sembri un pulcino bagnato. Questo è il “mio” negozio, non la tua Accademia, quindi se voglio spedirti fuori a martellate nel culo, lo faccio e non puoi impedirmelo~».
     
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  5. Serenaide
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    "Viva la gentilezza e la buona educazione"
    Va bene che lui era cresciuto in una famiglia nobile e tutto, quindi era stato "costretto" ad essere sempre impeccabile ed educato con qualsivoglia adulto avesse incontrato durante l'arco di tutta la sua vita, ma quello era troppo.
    Per lui che era abituato al massimo rispetto era davvero troppo.
    Realizzò che doveva esserci qualcosa di davvero sbagliato in lui se, invece di girare i tacchi e fuggire in un qualsiasi altro posto dove almeno avrebbe avuto un minimo di considerazione, preferiva restare in quel buco di libreria a contrattare con un ragazzetto scorbutico armato di martello che, inoltre, non faceva altro che squadrarlo e parlare come se lo conoscesse.
    "'Tesa vuota', 'faccia da ebete', al prossimo stereotipo che spari ti gonfio di botte fino a farti cambiare sesso, coglione in miniatura~" quel pensiero arrivò assieme ad un certo formicolio alle mani, ma decise di non farci peso.
    Alla fine, di qualsiasi cosa pensasse o dicesse quel cretino, con tutto quello che aveva già per la testa, non poteva fregargliene di meno. Era stanco, sinceramente stanco, e per una sera poteva abbandonare la rigidità e tutto il resto a cui era costretto in accademia.
    Sbuffò senza nemmeno rispondersi e si tolse la giacca, per poi abbandonarla sul pavimento in un angolo e chiudersi la saracinesca alle spalle.
    «Senti, che ti stia bene o no io resto qui, dato che mi gioco quello che vuoi che il negozio non è nemmeno tuo e quindi qui comanderai poco e niente. Per non parlare del fatto che mi sembra abbastanza tardi quindi il negozio dovrebbe essere chiuso da ore, quindi allungare un po' per me non ti ucciderà.» disse sedendosi svogliatamente per terra.
    Che provasse pure a prenderlo a martellate, lui non aveva paura.
     
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    Sorrise in un modo che qualsiasi persona dotata di un minimo di raziocinio avrebbe considerato inquietante. Il biondino, tuttavia, sembrava totalmente privo di qualsivoglia istinto di autoconservazione, quindi decise bene di lanciare in un angolo la sua sudicia giacca –il pavimento! Il pavimento, porca di quella dannatissima puttana in calore!- e tirare giù la saracinesca, come se il negozio fosse suo.
    Il colmo, tuttavia, arrivò quando l’altro si sedette per terra.
    Aspettò che finisse di dire le sue ultime parole –perché si concedono sempre le ultime parole ad un condannato a morte, no?- poi si batté il martello in mano con fare minaccioso.
    «tesorino di papà, no, questo negozio non è mio, ma nel caso non l’avessi notato, il titolare non c’è ed in sua assenza il comando passa a me, quindi dammi una buona ragione per non appiattirti il culo a martellate~ per di più, anche se tu avessi ragione sull’orario di chiusura, ti sbatterei fuori giusto per il gusto di farlo. Ma oggi mi sento generoso, ti concedo altri dieci secondi per alzare quel tuo culo rinsecchito o gli cambio i connotati~» disse, per poi iniziare lentamente a contare.
     
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  7. Serenaide
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    Rise di gusto alla "minaccia" dell'altro. Sul serio quel tizio, basso e mingherlino com'era, intendeva spaventare un allievo dell'Accademia con un "ti cambio i connotati"? Era semplicemente assurdo, come tutto ciò che riguardava quello strano ragazzo. Insomma, era sempre stato circondato da persone che lo trattavano con il massimo rispetto appena vedevano la divisa - che, purtroppo, erano obbligati ad indossare anche quando uscivano- e invece il moro lo stava trattando come una specie di moccioso ritardato. Andiamo, era semplicemente ridicolo. Eppure, strano ma vero, sembrava essere proprio quel comportamento ridicolo a convincerlo a restare lì.
    All'Accademia gli altri cadetti e spesso persino i professori, a causa del cognome importante e della fama di suo padre, si trattavano in modo "speciale" con lui, mirato solo a far buona impressione sulla sua famiglia. Era circondato da persone che quasi elemosinavano la sua amicizia solo per trarne beneficio, non poteva parlare con nessuno e ancor meno fidarsi. Effettivamente era anche quello a contribuire alla sua frustrazione, riflettendoci bene.
    Per questo era divertente, una volta tanto, essere trattato come una persona.
    « Se credi che la storia dello psicopatico col martello funzionerà con me, hai sbagliato persona. Ma prego, prova pure a colpire uno che passa la metà della giornata ad allenarsi, comportarsi da persona civile ormai non si usa più.» rispose tranquillamente, senza spostarsi di un millimetro.
     
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    Non solo il biondino da strapazzo non s’affrettò ad alzarsi dopo la sua minaccia, ma si mise pure a ridere come solo un perfetto idiota, coglione, figlio di papà e con il culo assicurato poteva fare.
    Il soldatino, giusto per rendere ancora più chiaro quanto volesse una morte lenta e dolorosissima, osò pure commentare.
    Odiava le persone, in generale. Non poteva sopportarle, erano fastidiose e rumorose, non si facevano i cavoli loro e si sentivano in dovere di giudicare e commentare ogni cosa… ma tra tutte le persone fastidiose che aveva conosciuto, quel damerino del cazzo era in assoluto il peggiore. Nessuno era mai riuscito a fargli perdere la pazienza in così poco tempo.
    “Pazienza, Leo, pazienza… ricordati che hai già una denuncia per aggressione che pende sulla tua testa come una spada di Damocle, non peggiorare la situazione con una condanna per omicidio” supplicò la vocetta appena udibile della sua razionalità.
    “okay, una condanna per omicidio no… ma quasi quasi faccio una bella collezione di denunce per aggressione!” si rispose, irritato.
    «Oh, non ti preoccupare, non mi comportavo da persona civile pure quando non era ancora passato di moda esserlo~» rispose, per poi posare sul bancone il martello.
    Questo solo perché gli servivano e mani libere per prendere L’Archivio –un monumentale libro dove erano segnate tutte le pubblicazioni dell’anno corrente prima in ordine di titolo e poi per autore- e lanciarglielo in pieno viso, riuscendo a centrarlo perfettamente.
     
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  9. Serenaide
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    Lui lo aveva avvertito.
    Era quello che avrebbe detto al giugice prima di essere condannato all'ergastolo o essere comunque rinchiuso in un istituto di igiene mentale. Lui lo aveva avvertito.
    Fanculo l'essere trattato come una persona, quel coso non aveva la mibina idea di come fossero le persone normali, figurarsi lui. Era stanco, terribilmente stanco, ed arrabbiato. Lo era già di suo, ma quel coglione evidentemente doveva peggiorare le cose. Perché, oh, "tutti i militari sono idioti sbruffoni". Gli dava la nausea.
    Perse la poca calma che era rimasta e lanciò via il libro enorme che il moro gli aveva fatto arrivare in viso, per poi arrivargli addosso talmente in fretta da non rendersene nemmeno conto.
    Lo sollevò per la maglietta fino a non fargli toccare terra e lo sbatté contro il muro ripetutamente, urlandogli contro senza apparente motivo quanto fosse stanco dei tipi come lui e di essere considerato uno stupido, preso da una rabbia cieca.
    Stava facendo qualcosa di terribilmente stupido ed insensato, anche perché effettivamente aveva torto, ma non riusciva a fermarsi.
    Finalmente la sacrosanta coscienza tornò e lasciò andare il povero ragazzo. Che però aveva perso i sensi.
    "Sempre se non lo hai ucciso" pensò.
    Oh. Cazzo.
    Si inginocchiò accanto a lui e cercò di rianimarlo, terribilmente preoccupato per le conseguenze di quel gesto così stupido, ma soprattutto per la salute di quel povero ragazzo.
     
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    Dopo averlo colpito in pieno viso, vide il ragazzo buttare da parte il libro ed alzarsi.
    Per una frazione di secondo sorrise, credendo che finalmente il biondo avesse deciso di graziarlo con la sua assenza… questo prima di essere sollevato di diversi centimetri da terra da quel dannatissimo soldatino pazzo.
    Si sentì mancare il respiro quando lo sbatté con violenza contro il muro, non riuscì nemmeno a tentare di liberarsi.
    Prima che potesse fare qualsiasi cosa per provare a far ragionare lucidamente quel folle, si ritrovò ancora a sbattere contro quel dannato muro.
    E ancora.
    Poi di nuovo ancora.
    Questo finché non perse i sensi, precipitando nel buio.
    Riprese i sensi dopo quelli che potevano essere stati istanti o secoli, ritrovandosi sul pavimento con quel pazzoide biondo inginocchiato accanto a lui. Si premurò per prima cosa di tirargli una ginocchiata nei coglioni con tutta la forza che gli rimaneva.
    Lo sforzo gli fece perdere ancora i sensi, ma questa volta fu certo che durò per soli pochi secondi; quando riprese i sensi per la seconda volta, provò a mettersi seduto e sentì la testa implodere miseramente.
    «Perfetto, ci mancava la commozione cerebrale» borbottò flebilmente, portandosi entrambe le mani alla testa.
     
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  11. Serenaide
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    Ignorò la ginocchiata, o meglio, quasi non la sentì nemmeno.
    Lo fece sdraiare di nuovo e gli posò una mano sulla fronte per evitare che tentasse di nuovo di alzarsi. Doveva ragionare, stare calmo e ragionare.
    Per quello che aveva fatto, il ragazzo poteva essere messo male sul serio, per cui doveva intervenire. C'era un'infermeria in accademia, ma portarlo lì avrebbe scatenato un casino assurdo e non era nemmeno sicuro che potessero entrare. C'era un ospedale nelle vicinanze, e lo sapeva per certo dato che ci era finito almeno una decina di volta, per lui o per i suoi compagni, quando avvenivano "incidenti" troppo gravi durante l'allenamento. Il vero problema era come arrivarci: i pullman erano bloccati nel traffico per la pioggia, tutti si suoi amici erano già andati via e non aveva soldi per un taxi.
    Rifletté per qualche minuto ed arrivò alla conclusione che se non si dava una mossa avrebbe solo peggiorato la situazione, per cui prese in braccio il ragazzo, lo coprì con il suo cappotto ed uscì dal negozio.
    Lo avrebbe portato a piedi e fanculo tutto, aveva fatto un errore imperdonabile e toccava a lui rimediare.
    Prese a correre più velocemente possibile, ignorando la pioggia che - non avendo più il cappotto - lo stava inzuppando da capo a piedi e ringraziando una volta tanto i milioni di addestramenti per la resistenza che gli stavano permettendo di correre così lontano.
     
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    Gli scoccò un’occhiataccia quando lo fece sdraiare e gli mise una mano sulla fronte per impedirgli di alzarsi ancora.
    Nessuno impedisce a Leo Baskerville di fa re qualcosa, nessuno… nemmeno se sta morendo di male alla testa come in quel momento, ma questi sono inutilissimi dettagli tranquillamente trascurabili.
    Sentì l’altro prenderlo in braccio e il repentino spostamento gli fece avere un’ondata di nausea tanto violenta da oscurargli la vista per diversi secondi. Quando riuscì di nuovo a vedere, si trovava ancora in braccio al ragazzo, con addosso il suo cappotto, mentre lui correva per le vie.
    Sapeva che c’era un ospedale nelle “vicinanze”, dove “vicinanze” stava per: “è dannatamente lontano, ma oggettivamente è il più vicino alla libreria”… che poi, quel dannato aveva almeno avuto l’accortezza di chiudere la porta e la saracinesca della libreria? Se qualcuno fosse entrato a rubare, lui sarebbe stato licenziato… e a quel punto il biondo avrebbe potuto considerarsi morto.
    Sospirò e decise di non pensarci al momento, dopotutto non era in grado di tornare indietro a controllare.
    Si strinse meglio ad Elliot, stupendosi di quanto si stesse bene tra le sue braccia.
    “Vai pure con calma, io sto bene qua” pensò… per poi incolpare l’incoerenza dovuta alla probabilissima commozione cerebrale per quell’assurdo pensiero.
     
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  13. Serenaide
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    Lo strinse quasi possessivamente a sé e continuò a correre, controllando ogni tanto se stesse bene, almeno con il cappotto addosso era sicuro che non si bagnasse. Si chiese, sta volta sul serio, che razza di problemi avesse. Aveva quasi ucciso quel ragazzo dieci minuti fa e adesso non solo lo stava portando all'ospedale di corsa nonostante avrebbe potuto aspettare almeno che spiovesse, bagnandosi ed infreddolendosi, ma si sentiva anche terribilmente legato a quel ragazzetto che non aveva fatto altro che trattarlo come una pezza per la polvere e tirargli in faccia un libro di una decina di chili. Probabilmente stava diventando pazzo, era l'unica spiegazione.
    Dopo... beh, molto più tempo di quello che immaginava, riuscì ad arrivare all'ospedale e si accomodò in sala d'aspetto, tenendo ancora il ragazzo tra le braccia. Effettivamente non sapeva assolutamente niente di lui, ma probabilmente non era il momento giusto per fare domande. Beh, i medici gli avrebbero chiesto il nome in ogni caso, tanto valeva anticiparli.
    «So che sembra stupido, ma come ti chiami.» gli chiese in un sospiro, accarezzandogli la testa.
     
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    Lentamente cominciava a sentirsi meglio, anche perché, seppur coperto dal cappotto del ragazzo biondo, le gocce di pioggia gli colpivano il viso, ma tutto sommato andava bene così: l’acqua fredda contribuiva a schiarirgli le idee.
    Dopo un bel po’ di tempo arrivarono all’ospedale e la luce accecante –ma probabilmente era accecante solo per lui- dell’edificio gli diede parecchio fastidio, costringendolo a nascondere il viso contro il petto del ragazzo.
    Dopo un po’ gli chiese il suo nome e con una gran dose di fastidio si rese conto che ci mise decisamente troppo a ricordarselo «Leo Baskerville… o qualcosa del genere» rispose, poco convinto, appuntandosi mentalmente che se gli fossero rimasti danni mentali permanenti avrebbe ucciso quel soldatino del cazzo con le sue stesse mani e provando pure un discreto piacere nel farlo.
    “Ma guarda te, prima mi riempie di botte e poi fa la mamma chioccia”.
     
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  15. Serenaide
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    Annuì, continuando ad accarezzarlo.
    «Io sono Elliot Nightray. Mi dispiace davvero per quello che ti ho fatto, non so cosa mi è preso... hai tutto il diritto di denunciarmi.» disse a bassa voce per non peggiorargli il dolore alla testa. Non ebbe tempo di dire altro che arrivò il loro turno, per cui Leo fu caricato su una barella e sparì dietro di una tra quelle innumerevoli porte bianche. Sospirò, seriamente preoccupato per quello che poteva essere successo a quel povero ragazzo. Aveva davvero esagerato, perdendo totalmente il controllo e facendo qualcosa di terribilmente barbaro e stupido. Sapeva di essere più forte del moro e ne aveva approfittando, arrivando quasi ad ucciderlo...
    "Complimenti, Elliot, sei una vera merda."
    Restò a riflettere con la testa tra le mani per quella che gli era sembrata un'eternità, ma non doveva essere più di mezz'ora, finché un medico non uscì dalla porta dicendogli che non era niente di male e che poteva entrare, dato che Leo stava già meglio.
    A dirla tutta aveva paura che il ragazzo gli avesse spezzato il collo una volta entrato, ma prese il coraggio ed entrò, sperando di non vedere la fine dei suoi giorni in quella stanza.
    «Come ti senti?» chiese, una volta arrivato accanto al letto.
     
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98 replies since 22/5/2013, 22:34   441 views
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